martedì 23 giugno 2009

MSN : UNA CONVERSIONE A META'

Ebbene sì, dopo tanti anni di voluta astinenza, contrastata e ostacolata da tutti i miei amici che mi spronavano a " darmi una svecchiata ", sottolinenado ogni volta da bravi cinici che " Luci siamo nel III millennio ", svilendo crudelmente la mia passione di scrivere lettere e minacciando di regalarmi una civetta tipo Harry Potter per il mio compleanno.....La conversione è avvenuta !!
Una conversione da atea ad agnostica, intendiamoci, da una che "non crede" a una che "sospende il giudizio"; non ho avuto nessuna illuminazione ma semplicemente ho sentito il bisogno di sentire di più alcune persone da cui sono lontana per motivi di studio, la mia May per esempio, impegnata a Forlì, mia cugina a Roma...
Dopo tante pressioni a cui sono stata sottoposta credevo che fosse più difficile "piegarmi " alla logica di msn, cioè di comunicare solo attraverso uno schermo vuoto, triste e freddo, non è proprio da me ma, alla fine ha prevalso la logica del " è meglio fare un piccolo sforzo piuttosto che sforzarmi di non farlo "....Ecco, preciso, io funziono proprio così, mi accorgo sempre dopo che molte delle mie energie sono state spese inutilmente a sforzarmi di non fare, di non pensare ciò per cui facendo e pensando guadagnerei moltissimo !!!!
Poi alla fine sono anch'io un computerino, funziono a modo mio, non esistono manuali nè tecnici che possono aggiustarmi se non chi mi conosce e mi vuole bene, ma anch'io ho tanto spazio dentro, tanta "memoria" in cui tutto viene inserito, integrato, rimescolato e anche cancellato, mai per sempre però.
Sospendere il giudizio, nel mio caso, significa attendere il momento giusto per rioprenderlo in mano e rielaborarlo, come tutto d'altronde, niente ha una dimensione definitiva, stabile e salda sì, ma mai definitiva; quando uso msn per parlare con le persone mi accorgo di essere sempre me stessa, che il computer malefico che non smetterò mai di odiare non distorce però la mia personalità che rimane integra, anche se mediata, forse però perchè parlo con persone che sanno chi c'è dall'altra parte dello schermo, non estranei, perfetti sconosciuti ai quali di punto in bianco racconto la mia vita...Chissà, a me fa un effetto strano, forse sembro un idiota a pormi queste domande, a filosofeggiare sul nulla di fatto, ma sono sensazioni, pensieri che davvero mi sfiorano e a cui non so darmi una risposta, o forse sono solo pippe mentali inestirpabili....
In fondo devo ringraziare msn, perchè rafforza quella che era la mia abitutine e convinzione iniziale: ogni volta che vedo quell'omino verde attivo sullo schermo, mi vien voglia di metterlo invisibile e alzare il telefono, per sentire almeno la voce di chi penso !!!!!

sabato 20 giugno 2009

" ONE FLEW EAST, ONE FLEW WEST, ONE FLEW OVER THE CUKOO'S NEST "

Purtroppo la traduzione italiana, benchè affascinante, non rende pienamente il significato simbolico del titolo di questo capolavoro assoluto del cinema.
Il termine " cuckoo " significa letteralmente " cuculo ", ma in senso traslato può significare "pazzo ", quindi la traduzione più realistica sarebbe "qualcuno diventò pazzo ".
Il riferimento al cuculo è una metafora meravigliosa e pienamente azzeccata perchè, come l'infermiera capo dell'ospedale psichiatrico che, insinuandosi nelle menti dei pazienti, se ne impossessa e le distorce, rendendo effettivamente pazzo chi non lo è mai stato, chi, come Randle Mc Murphy, il protagonista egregiamente interpretato da Jack Nicholson, ha sempre creduto e cercato di far capire che i confini tra follia e normalità sono estremamente labili, sfumati, che l'evasione tanto agognata dai malati dell'ospedale è un'evasione alla ricerca della vita, la vera vita, altrettanto folle e malata mentale.
Così, come l'infermiera capo, fa anche il cuculo, uccello che non costruisce il proprio nido ma sfrutta quello altrui per deporre le sue uova, uccidendo i cuccioli del nido di cui si appropria, e facendo accudire i propri dai genitori adottivi, che continuano a crescerli credendo che siano i loro.
E' terribile come a volte la crudeltà della natura ci rassomigli e rispecchi alla perfezione tanti dei comportamenti umani che, non essendo fisiologici per noi a differenza che per il cuculo, ci trasformano in bestie inumane; il cuculo lotta per la vita e la sopravvivenza della specie rispondendo alle sue dinamiche naturali benchè terribili, l'infermiera capo, i medici, gli infermieri dell'ospedale psichiatrico lottano per la morte di chi non ha colpa se non quella di voler far assaporare un soffio di vita nel baratro.
Il film, girato nel 1975 da Milos Forman, vincitore di ben 5 premi oscar, caso unico nella storia del cinema da 40 anni, ha accompagnato un periodo di grandi rivoluzioni, culturali, sociali, politiche di cui si fecero rappresentanti studenti, lavoratori, artisti di ogni genere, gente comune, che esprimeva, con tutte le forze, la voglia di cambiare, di fare qualcosa per lasciare un mondo migliore a chi sarebbe venuto dopo.
Questo film ha contribuito concretamente alla ridefinizione del concetto di follia e di normalità, smascherando i disagi dei malati degli ospedali psichiatrici, la disumanità dei trattamenti a loro riservati, la ghettizzazione dell' alienato mentale, del borderline, elemento che sfugge dalle maglie e dalle dinamiche della società pura, sana, il tutto condito da diffidenza, paura, terrore non del diverso, ma più tragicamente dell'Altro.
Il film è agghiacciante per le verità nude e crude che ti sciorina davanti agli occhi, ma, come sempre dove c'è Nicholson, ti fa sorridere dall'inizio alla fine, ti fa piangere ed emozionare per l'ingegnosità di Randle che fa di tutto per contrastare l'attività destruente dell'infermiera capo, nonostante l'ambiente e le tante proibizioni imposte dalla morale ferrea dell'ospedale, giocando sporco a poker con i malati, introducendo alcool, donne e vita nell'ospedale , improvvisandosi cronista sportivo di baseball essendo stata spietatamente vietata la visione della partita che tutti aspettavano, rifiutando le medicine, organizzando tornei di basket e una meravigliosa gita in peschereccio, diventando così evasore, sobillatore di animi, soggetto sempre più pericoloso agli occhi della società che già cominciava a stendere su di lui la sua ombra di morte.
La sovversione dei ruoli è l'arma vincente di questo film, dove quelli che " normalmente " vengono considerati funzionari della sanità al servizio della società nella riabilitazione dei malati, emergono da questo affresco come le vere bestie disumane e folli per le quali non c'è davvero cura, mentre il mitico gruppo di malati che accoglie Randle si rivela carico di energie e sano nelle sue paure infantili, fobie, litigi, risate isteriche e inutili, discorsi senza senso, insomma uomini a tutti gli effetti, amanti del baseball, fobici per le sigarette, arrapati davanti a una bella donna, indifesi, innocenti, ma anche bugiardi e scaltri all'occasione, eccessivamente loquaci o muti, impassibili come il Nativo americano, colosso del gruppo, sfruttato da Randle nei suoi mille tentativi di fuga per scavalcare la recinzione o per fare canestro senza problemi di elevazione. E' in questo " non mondo " della follia, il film è infatti girato quasi unicamente all'interno dell'ospedale psichiatrico con pochissime scene all'esterno, che, turbato dall'ingresso di una vita in più, succede la tragedia; Randle tenta di strangolare l'infermiera capo che, avendo fatto pressione sul più giovane del gruppo, minacciando di rivelare le sue trasgressioni alla madre da lui tanto temuta lo ha spinto al suicidio. Il ragazzo si taglia le vene e l'infermiera infierisce sul gruppo, riversando la colpa su di loro, giocando sulle loro paure, sul loro dolore, ripristinando ancora una volta l'ordine nel presunto caos.
L'accaduto segna definitivamente il destino di Randle che viene lobotomizzato in quanto soggetto pericoloso per la società; mentre i compagni preoccupati si chiedono che cosa gli abbiano fatto, eccolo tornare, portato in barella stordito, inebetito, vegetale, senza più possibilità di parlare, di fare, ammutolito, distrutto da una società che lo voleva morto perchè invidiosa della sua vitalità.
Ma Randle vive, vive negli animi dei suoi compagni, vive nel ragazzo morto, suicidatosi per poter finalmente vivere, vive nel Capo Brondem, l'indianone, che , chiedendosi " ma cosa ti hanno fatto amico mio " lo soffoca con un cuscino, per liberarlo da quella schiavitù alla quale non è mai sottostato e nella quale ora lo hanno incatenato, piegato a forza.
Lo soffoca, contraccambiando così il favore, quello di averli liberati tutti lui per primo, liberati dalle maglie di una società che non li voleva se non in stato vegetativo, di averli liberati dalla storia, dalla storia della loro malattia, dalla figura incancrenita del pazzo da manicomio, da se stessi.
Randle vive, vive in tutti noi, vive in Capo Brondem che, dopo averlo salutato per l'ultima volta, si ricorda della forza e della sua potenza, sempre sfruttata prima da Randle per fare canestro e dopo aver alzato con tutte le sue forze un lavabo di marmo piantato a terra , pesantissimo, lo scaglia contro una finestra e fugge via attraverso la breccia alla ricerca della tanto agognata libertà.