sabato 25 aprile 2009

AD MALA SUMUS

Questo è il mio secondo articolo, partorito dopo un lungo priodo di documentazioni varie che mi hanno fatto scoprire tante, ma tante curiosità...
Lo studio sul fenomeno sociale mestruo è diventato uno dei miei pallini fissi, lo trovo assolutamente interessante e rivelatore su molti tabù che ancora velano questo argomento; nei miei studi sono venuta a contatto con svariati movimenti femministi, gruppi musicale, tra cui Elio e le storie tese che la donna e le sue "parti intime " le infila dapperttutto!!! Ho rispolverato vecchie riviste femministe con slogan meravigliosi e agguerriti in prima pagina, ho incontrato giornaliste cyberfemministe che inneggiano ad un naturalismo primitivo nel gestire le mestruazioni, oggetti, cadget vari, assorbenti allucinanti ecc......
Ma questa è un'altra storia.....


OOPS….MI SONO VENUTE LE PERIFRASI !!

Mi sono chiesta più volte se il proverbio che dice “ ferisce più la lingua della spada “ sia degno o meno di fiducia… Purtroppo, i fatti lo dimostrano, per la maggior parte delle volte e delle donne sembra essere così;
Esempio lampante che sembra confermare la veridicità di questo detto è la miriade di espressioni e perifrasi usate per ( non ) pronunciare la fatidica frase: ho le mestruazioni!!!
Il linguaggio infatti è uno specchio nel quale si riflettono usi, costumi e norme sociali, può essere usato dunque sia per valorizzare e accogliere oppure, appunto, per relegare un fenomeno o una parte del corpo nella sfera dell’inaccettabile o del proibito.
Passiamo dunque in rassegna i più svariati escamotages linguistici che le donne italiane utilizzano per sostituire il termine mestruazione, sia pure per imbarazzo e pudore o per spiccata creatività.
Possiamo farci un’idea partendo da alcuni dei più comuni: “ ho le mie cose “ o “ mi sono venute “, espressioni in cui non si identifica nemmeno il soggetto.
Facendo un passo indietro si scopre che anche i nostri avi facevano poetici sforzi per girare intorno alla parola: l’arcaico termine, tuttora in uso, “ marchese “ compare già in un testo del medico romano Scipione Mercurio del 1596, insieme con “ fiori”, “ ragione “ e “ purghe “.
Lo stesso Mercurio scriveva ne La Comare: “..Ho creduto che le donne vergognandosi di patire queste purghe le ponessero il nome di marchese, sebbene il nome di fiori gli è proprissimo”.
Anche la prima edizione del Dizionario della Crusca ( 1612 ) ammette il termine marchese che solo nella quarta edizione ( 1733 ) attribuisce al linguaggio volgare, sottolineando che l’origine del termine era sconosciuta.
Qualche dizionario tenta comunque una spiegazione etimologica. Il Dizionario moderno delle parole che non si trovano in dizionari comuni ( 1905 ) fa risalire “ marchese” al francese marquis, da marquer,
“ segnare, marcare “ o addirittura al celtico: march “ donna “ ed es “ fluido”.
Ancora nei Dizionari della Crusca ( 1708 ) si trova l’acquatico “ prefluvio delle donne “.
L’altrettanto arcaico “ regole”, ancora oggi riportato in vari dizionari, come lo Zingarelli, è in uso dal XVIII sec. , mentre già dal ‘500 si usavano termini quali, “ ordinazioni “, “ purghe lunari “ o anche solo “ lune “.
A partire dal ‘700 “ ciclo” e “regole “, termini che rimandano alla ciclicità del mestruo, sembrano affermarsi sempre più come termini medici, mentre circonlocuzioni ed eufemismi vari hanno continuato la loro vita autonoma.
Tra questi alcuni sottolineano aspetti negativi, come per esempio “ le noie “, “ l’indisposizione “e “ il nervoso “, mentre altri quelli positivi, quali “ benefizi “e “ soccorsi “. Questo passaggio, dal negativo al positivo, evidenzia come le donne delle classi popolari avessero spesso una visione fondamentalmente positiva delle mestruazioni, considerate un segnale di buona salute e la prova che non erano incinte.
Anche nell’ ‘800 il moralismo cattolico imperante non permise una trattazione più libera dell’argomento ma, se possibile, accentuò i tabù , affermando in giornali femminili, riguardo all’educazione delle fanciulle, che “ la parola è d’argento ma il silenzio è d’oro “.
Nella seconda metà del ‘900, in piena rivoluzione sessantottina, sui settimanali femminili si parla di femminismo e si dedica più spazio alla salute della donna, ma le mestruazioni continuano a rimanere nascoste da un velo di perifrasi, e dovranno aspettare gli anni ’70 per essere chiamate con il loro nome. Sull’onda delle pubblicità diventano addirittura da sbandierare orgogliosamente, purché non siano evidenti né fastidiose, grazie alla scelta del giusto assorbente.
Un’ indagine attuale della giornalista Malaguti fra donne e uomini italiani fra i 25 e i 54 anni ha rivelato una sostanziale propensione alla chiarezza: di solito si dice “ mestruazioni” o “ciclo”.
Sono emerse anche alcune chicche: un uomo di Bologna le chiama “ le brigate rosse”, riferendosi ai catastrofici sbalzi d’umore della compagna; una donna del centro-sud le chiama “ le cascate “, drammatizzando un po’; un uomo di Avellino dice “ è arrivato Filippo “, il perché è ignoto; un ragazzo di Roma ne parla affettuosamente chiamandole “ le menstruine “; una ragazza siciliana sfodera “ allarme rosso” e una donna romana “ i traffici “, per via dell’andirivieni con il bagno.
Anche nel resto del mondo esiste una quantità inimmaginabile di giri di parole e di soprannomi.
Partendo dagli Stati Uniti troviamo l’ avventuroso “ surfing the crimson wave” ( fare surf sull’onda rossa ) o il familiare “ aunt Rosie “ ( zia Rosie ); nel Texas troviamo metafore stile Far West come “ back in the saddle again “ ( essere di nuovo in sella ). Dalla Gran Bretagna e dall’Australia arriva il creativo “ I’ ve got the painters in “ ( ho gli imbianchini in casa ), dal Belgio il poetico “ i miei momenti del mese “, mentre il Brasile ci regala il marziano “ o visitante “ ( il visitatore ).
Dalla Repubblica Ceca giunge il politicizzato “ Primo Maggio “ e l’elfico “ fenomeno delle fragole “, simile al finlandese “ giornate del mirtillo rosso “. Dalla Cina arriva la “ piccola sorella rossa “, “ il generale rosso ha bussato alla porta” e lo splendente “ acque lunari “.
Un’ espressione desueta usata dalle donne francesi è “ sono sbarcati gli inglesi “, forse per via del colore rosso delle giubbe inglesi; gli ungheresi cambiano esercito e dichiarano che “ stanno arrivando i russi “, mentre alcune donne polacche hanno “ visite dalla zia da Mosca”.
Fra le curiosità tedesche si segnala “ tasse mensili “ e “ messaggio mensile “; mentre un’ indiana riporta “fuori dalla porta “,per ragioni religiose infatti alcune famiglie indù isolano le donne durante le mestruazioni.
Dal Giappone arriva “ seiri “ ( logica della vita) e i poetici “ getsuji “ e “ tsuki no mono “ ( cosa della luna ), “ hatsuhana “ ( primo fiore ) e “ shochou “ ( prima marea ), per il menarca.
In America Latina è diffuso “ Andrès “, perché fa rima con “ el que viene cada mes” ( quello che viene tutti i mesi ).
In Nigeria è diffusa l’ espressione “ clock “: se una ragazza deve dire al fidanzato che ha saltato il ciclo dirà “ sto ancora cercando il mio orologio “; sempre in Africa, in Congo dicono che una donna mestruata “ è nella luna “, mentre “ essere nel cielo “ significa essere incinta.
Nelle Filippine si usa l’ espressione “ meron ako “, che significa semplicemente ( ho… ).
Madri e nonne portoricane usano l’ espressione “ te cantò el gallo “ ( ti ha cantato il gallo ), per chiedere ad una ragazzina se ha avuto il menarca.
Possiamo concludere questo elenco con la stupenda espressione indiana che indica la mestruazione come “ il fiore che cresce nel dio dell’ amore “, che dimostra come la cultura dei popoli influenzi la modalità di vivere e descrivere un fenomeno fisiologico…..Dovremmo forse andare tutte in India ??!!




LUCIA II E

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